Inter, quel che (non) è Walter Mazzarri

Walter Mazzarri (Getty Images)

INTER WALTER MAZZARRI / MILANO – Walter Mazzarri è l’uomo della provvidenza. E’ sbarcato a Milano all’età di 51 anni, scegliendo di allenare probabilmente la peggiore Inter della storia calcistica italiana e mondiale. Prende una squadra ridotta in braghe di tela dalle scellerate e fallimentari gestioni e operazioni di mercato condotte in sincronismo perfetto da Massimo Moratti e il suo fedelissimo (per tanti motivi) braccio destro, l’intoccabile Marco Branca. Il tecnico di San Vincenzo è al top della carriera, negli ultimi anni – lo si è detto in tutte le lingue – non ha mai sbagliato un colpo, di più, non è mai stato esonerato: da Acireale a Napoli, dove conquista qualificazione Champions e coppa Italia, senza dimenticare le positive esperienze a Reggio – salvezza miracolosa con la Reggina, partita con un -11 in classifica – a Genova, sponda Sampdoria, e Livorno; in Toscana centra una straordinaria promozione in serie A.

Nella sua prima conferenza stampa ha dimostrato di avere le idee chiarissime, elencando banali ma precise regole che a qualche sfaticato giocatore dell’Inter avranno fatto certamente rabbrividire, se non addirittura sbuffare. Ventidue giocatori, due per ogni ruolo: allenamenti, sacrificio e volontà, elementi venuti a mancare dalle alte cariche in giù dopo il ‘Triplete’ del 2010, praticamente da un’eternità. Adesso, come anche prima, si sprecano i confronti, i paragoni con gli allenatori passati e scappati-esonerati dall’Inter. Primo fra tutti: José Mourinho. Mazzarri non è come lo ‘Special One’, e fin qui non ci piove. Non ha lo stesso fascino hollywoodiano del portoghese, né la stessa immagine vincente (non ha lo stesso numero di ‘titoli’). Come Mou, però, ha un eccezionale carisma, entrambi sono catalizzatori e accentratori; e anche assai permalosi. Un po’ ‘Bauscia’, in pratica il dna dell’interista medio.

Walter Mazzarri non è indubbiamente Andrea Stramaccioni. Il romano nel marzo 2012 approdò sulla panchina della ‘Beneamata’ quasi per grazia divina, senza esperienza e in mancanza di quel carattere forte e deciso imprescindibile se si vuol conquistare e tentare di gestire il complicato spogliatoio nerazzurro. Stramaccioni in poco più di un anno non è riuscito a staccare il cordone ombelicale da Massimo Moratti, la fin troppa riconoscenza verso il petroliere lo ha portato a credere – per ingenuità e convenienza – a tutto ciò che gli veniva detto e promesso, fino a rimanerne scottato nella settimana caratterizzata dal suo allontanamento dalla Pinetina. Mazzarri ha polso, giunge all’Inter dopo tanta gavetta ed evidenti miglioramenti sotto l’aspetto tattico. Non si sente e non è un ‘miracolato‘, tutt’altro: crede di essere il più bravo di tutti, a torto o a ragione; vedremo cosa dirà il campo, come sempre giudice sovrano. Gestirà i suoi uomini senza alcuna preferenza o occhi di riguardo verso questo o quel ‘senatore‘: giocherà chi sarà in grado di offrire alla squadra il massimo apporto e supporto. Le teste calde probabilmente non dureranno nemmeno il tempo di un giro del campo.

Prima del suo avvento alla Pinetina, Mazzarri è stato giustamente paragonato a Marcello Lippi (caratterialmente si assomigliano), che all’Inter combinò solo disastri. Il ‘Richard Gere’ di Viareggio giunse a Milano dalla odiata rivale, la Juventus; con la pancia piena di trofei e quindi scarsamente motivato, in un ambiente che mal digerì fin da subito il suo ‘marchio’ bianconero, di cui lui andò fiero fino agli istanti conclusivi della sua disavventura milanese. Per l’ex tecnico del Napoli è tutto il contrario: la sua pancia è completamente vuota, i suoi stimoli sono alti e addosso non ha appiccicato alcuna etichetta: ha sempre desiderato un club come l’Inter, dove spera molto presto di lasciare il segno. Fondamentale sarà il ruolo della società, ma chissà se in Corso Vittorio Emanuele abbiano imparato qualcosa dai loro stessi errori.

 

Raffaele Amato

 

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