Mihajlovic: “Io all’Inter? Conta il presente. E su Mancini e Stankovic dico…”

Sinisa Mihajlovic (Getty Images)
Sinisa Mihajlovic (Getty Images)

INTER MIHAJLOVIC MANCINI STANKOVIC / MILANO – In passato ha più volte sfiorato la panchina dell’Inter. Lui che quella panchina la conosce già benissimo essendo stato il secondo di Roberto Mancini, ai tempi dell’avventura nerazzurra. Sinisa Mihajlovic, attuale tecnico della Sampdoria con un passato importante nella formazione lombarda, non ha mai nascosto il sogno di poter allenare, un giorno, la squadra nerazzurra. Il serbo, intervistato dal ‘Corriere dello Sport‘,  oltre a parlare di un possibile futuro all’Inter, si racconta tra passato e futuro: “Io all’Inter? Ripeto, conta il presente. Delle voci non mi frega niente. Io penso al campo”.

Capitolo Mancini: “Quanto mi ha insegnato Roberto? Tantissimo. Da lui ho imparato il lavoro sul campo perché Mancio in questo è il migliore di tutti. All’Inter, da suo assistente, io curavo la fase difensiva, lui quella offensiva. Se sono diventato un allenatore, lo devo a Roberto e per questo lo ringrazio. Non dimentico mai ciò che ha fatto per me, anche quando giocavamo insieme. A volte abbiamo litigato perché se subivamo un gol, lui dava sempre la colpa a noi difensori e io mi arrabbiavo di brutto. Alla fine però eravamo e siamo come fratelli. Per chi tiferò in Chelsea-Galatasaray? Naturalmente per il Mancio. Con Mourinho dopo qualche incomprensione dovuta al fatto che non ci conoscevamo, mi sono chiarito e adesso siamo in buoni rapporti. A Roberto però auguro di passare il turno e di vincere la Champions almeno smetterò di dirgli che io l’ho vinta (alla Stella Rossa, ndr), mentre lui l’ha solo giocata. Contro la Juventus ha fatto un miracolo, magari concederà il bis con il Chelsea”.

Stankovic e la possibilità di vederlo nel suo staff tecnico: “Gliel’ho chiesto. Lo volevo con me sia nella Serbia sia qui alla Sampdoria. Lui è il mio fratello minore, il padrino dei miei figli e io sono il padrino dei suoi. Dipende da Deki: lo aspetto a braccia aperte. Quando è pronto e vuole accettare, basta una chiamata”.

L.P

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