INTER ERRORI E PROBLEMI ANDREA STRAMACCIONI / MILANO – Cambiare tutto per non cambiare nulla. Questo il leitmotiv accostabile all’Inter, a quella dell’anno scorso e a quella di quest’anno. La squadra nerazzurra, dopo la straordinaria e illusoria vittoria di Torino, ha spento la luce. Tasto off. Mente offuscata nelle successive partite, affrontate con lo snobbismo di chi ha già vinto e stravinto, di chi ormai non ha più niente da dimostrare. La discesa verso gli inferi, al momento sarebbe fuori dalla prossima Champions League per la seconda stagione consecutiva, appare inarrestabile. Il gioco è monotono, a due cilindri, la difesa lenta e mal protetta da un centrocampo mediocre che vive esclusivamente dei lampi di Guarin, le cui prestazioni sono come un’altalena; un sopra-sotto costante. L’attacco è fiacco, poco continuo. Milito non è più quello dei bei tempi, Palacio bravo ma comprimario del ‘Principe’. La dipendenza da Cassano è a volte un bene a volte un male: dal barese le uniche occasioni pericolose per gli avversari: troppo poco!
ERRORI E PROBLEMI – Le colpe di Stramaccioni sono essenzialmente due: il tecnico finora ha stravolto e cambiato troppo spesso moduli e formazioni, anche quando la sua rosa non era, come ora, falcidiata dagli infortuni. Che, guarda caso, colpiscono sempre gli stessi calciatori. Affidereste a un cieco la vostra macchina? Per poi dirgli e dire, dopo che questi ve l’ha distrutta schiantantosi addosso a un palo, “ma ci vedi?!”… Be’, l’Inter dapprima, citiamo solo un caso, ha rinnovato il contratto a Chivu, da anni palesemente e tristemente ‘rotto’ (era in scadenza, fino al 2014), per poi meravigliarsi, e sperando di far meravigliare, della sua lunga assenza per guai fisici, nello specifico al piede. Quello che semini, raccogli. Chiusa parentesi. Quattro-cinque sistemi di gioco riavvolti come un calzino fino a questo punto della stagione, in media uno diverso ogni una-due gare. La confusione tattica di Stramaccioni influisce e ha già influito, ovviamente, sul rendimento e sulla compattezza della sua squadra, strutturalmente incompleta e qualitativamente non eccelsa, per non dire scarsa.
L’allenatore romano, a cui, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, vanno date fiducia e tempo, col passare dei mesi si è un po’ imborghesito, trasformandosi da ‘il nuovo che avanza’ al ‘vecchio che dice sempre sì’, ovvero un perfetto aziendalista, sempre pronto ad avallare le scelte societarie, anche se esse si scontrano con le esigenze sue e del gruppo. La questione e la gestione del caso Sneijder sta a testimoniare questa sorta di acquiescenza verso tutto ciò che dice, che pensa e che ordina Massimo Moratti. Per carità, lui è il padre-padrone del club: ma a tutto c’è un limite. Un punto nelle ultime tre gare, che il mercato sia con loro. Nient’altro da dichiarare.
Raffaele Amato
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