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Inter: un punto può (non) bastare

I calciatori dell'Inter (Getty Images)

INTER, UN PUNTO PUO NON BASTARE / MILANO – Per le condizioni fisiche in cui era l’Inter, il punto conquistato contro la Roma forse può bastare. Serve, soprattutto, a mantenere inalterato il distacco dal terzo posto, ovvero da Napoli e Lazio, bloccate entrambe dal pari da Fiorentina e Palermo. Però, le giornate da qui alla fine del campionato diminuiscono: insomma, i quattro punti che separano i nerazzurri dal piazzamento Champions non devono creare allarmismi di piazza, ma nemmeno far dormire sonni tranquilli a Stramaccioni e alla dirigenza di Corso Vittorio Emanuele, che deve necessariamente porre rimedio, nei modi e nei tempi giusti, alle lacune di una rosa incompleta in alcuni settori del campo: dalla difesa al centrocampo, dove mancano un regista, un incursore e un esterno in grado di puntare e saltare l’avversario. Tre o quattro rinforzi utili per un presente non facile, in cui gli infortuni sono sempre i principali protagonisti.

Roma-Inter è stata un partita vera e propria solo per quarantacinque minuti: la prima frazione è stata equilibrata, inizialmente gestita meglio dai giallorossi, bravi nell’attaccare gli spazi e ad accompagnare la trama offensiva con molti calciatori, a differenza dei nerazzurri, quasi sempre dediti al lancio lungo o a uno schema, se così si può chiamare, fisso, monotono: sale Juan Jesus, palla a Pereira, leggera progressione dell’urugagio sulla fascia sinistra e cross finale – a mosca cieca – al centro dell’area di rigore presidiata con autorevolezza e coraggio da Castan e Marquinhos. L’attacco interista ha fatto comunque un’ottima gara, bene Palacio (non solo per via del gol), benino il giovane Livaja, preferito a un Rocchi, la strana ‘alternativa’ (quando è assente il ‘principe’ lui non gioca, allora perché è stato preso?) ancora in ritardo di condizione. Il croato, lodevole la scelta di mandarlo in campo fin dall’inizio da parte di Stramaccioni, è lento nei movimenti ma ha gran coraggio e una forza fisica tale da renderlo pressoché unico nel reparto offensivo. Meritava maggior fortuna su quel fantastico tiro al volo nel primo tempo; con i ‘pali’ ha un certo feeling. E pensare che Branca aveva inserito il suo cartellino nell’affare Schelotto. Totti, era facile prevederlo, è stato colui che ha più messo in subbuglio la difesa interista, ordinata e senza sbavature, però poco protetta da una linea mediana priva di fantasia e qualità.

Gargano è stato disordinato e arruffone, impeccabile per impegno (che non basta), Zanetti un pesce fuor d’acqua davanti la difesa, una posizione non consona alle sue attitudini e al suo modo di giocare a calcio, fatto di potenza fisica in progressione e a testa bassa. Il capitano in tutta la carriera non è mai stato un interditore di fama, figurarsi se può ‘inventarsi’ tale alla soglia dei 40 anni. Un uomo d’ordine sarebbe stato l’ideale, Cambiasso però, come è stato spiegato dal tecnico, non attraversa un positivo momento: è a corto di ossigeno, come si usa dire. Il secondo tempo è stato pieno di errori barbini, di palle perse e di passaggi sbagliati; l’Inter avrebbe potuto segnare il gol del vantaggio ma anche subire il colpo del k.o. E’ tornata pazza da un bel po’ di tempo, aggettivo che cozza terribilmente con un altro: vincente. Questa è una squadra non vincente perché priva di classe e personalità, l’unica speranza è giusto che venga riposta nei confronti di Guarin, ancora un anarchico egoista, ma con i numeri, le giocate e (sempre lei) la personalità per far fare un salto di qualità complessivo e duraturo alla ‘Beneamata’. Al colombiano manca continuità durante la partita, in questo dovrà lavorare intensamente Stramaccioni, a cui sinceramente risulta difficile chiedere di più.

 

Raffaele Amato

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