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Moratti jr.: “Perché abbiamo venduto l’Inter. Sullo stadio…”

Thohir assieme a Massimo e Angelomario Moratti (Getty Images)

INTER ANGELOMARIO MORATTI / MILANO – A ‘La Gazzetta dello Sport’ Angelomario Moratti, figlio dell’ex patron Massimo e attuale vicepresidente nerazzurro del nuovo corso targato Erick Thohir, ha spiegato i motivi della clamorosa e storica cessione dell’Inter: “Mio padre aveva capito che il suo mecenatismo senza alcun ritorno, sia a livello di investimenti che di immagine, fosse una formula ormai inattuale. Di più: in prospettiva, addirittura pericolosa per la società stessa. La prima a rischiare di rimetterci, quando la famiglia per qualunque ragione avesse deciso di smettere di investire“.

In molti, interisti e no, si son chiesti e si chiedono ancora adesso se non sarebbe stato più semplice cambiare filosofia societaria, e quindi dirigenti per rilanciarsi, anziché vendere a un imprenditore straniero: “Scegliere un modello radicalmente diverso poteva essere un cambiamento realizzabile anche al nostro interno, ma si sarebbe dovuta cambiare la natura della nostra natura: il fatto di essere così interisti, tifosi in maniera così viscerale, di fatto non avrebbe invece permesso i cambiamenti necessari. Per questo trovo che mio padre abbia dato prova di grande intelligenza, oltre che di amore per l’Inter”. Quand’è che la trattativa con Thohir ha preso la discesa giusta? “Nell’incontro di Parigi – svela Angelomario Moratti -. E poi, personalmente, un viaggio in macchina io e Thohir da soli, da Milano a Imbersago, a parlare delle nostre ‘vision’ sull’Inter del futuro, scoprendoci più vicini di quanto forse immaginassimo”.

FUTURO INSIEME – “Mi pare più facile, ma soprattutto più importante, immaginare che si possa lavorare con grande unione di intenti e che il progetto che abbiamo concordato inizi a realizzarsi. Non sarebbe inconcepibile pensare di uscire dall’Inter, ma Thohir e i suoi soci ci chiedono esattamente il contrario e quello che sentiamo al momento, al di là di quote, clausole o possibilità di veto esistenti, è una grande sintonia, oltre che un grande senso di responsabilità. E difficilmente potrebbe essere il contrario: ovunque si entri, all’Inter si respira ancora la presenza della mia famiglia”.

NO ALLA PRESIDENZA – “E’ stato chiesto a me e mio padre di diventare presidente, ma la risposta è sempre stata no, da subito. Era anche una questione di chiarezza verso l’esterno che uno di loro ricoprisse quella carica: per avere, anzi vivere, ancora di più la responsabilità di investire nell’Inter”.

CAMBI IN SOCIETA’ – “Ci saranno tempi dovuti – e potranno anche essere diversi in base ai ruoli e alle competenze – per verificare chi lavora all’Inter: nessuno sarà giudicato a priori, ma solo attraverso il suo lavoro, appunto”.

STADIO DI PROPRIETA’ – “Sono dieci anni che ci lavoriamo e abbiamo già degli studi pronti, ma questo è il momento di aspettare: di assestarsi, vedendo come migliorare San Siro. Però resto dell’idea che l’Inter debba avere una sua casa, che il tifoso debba entrare allo stadio come se fosse casa sua e che la casa dell’Inter difficilmente possa essere San Siro risistemato: è una struttura poco rinnovabile e sarebbe comunque da condividere. Anche in questo c’è stata sintonia con Thohir: non è una priorità immediata, tutto andrà fatto con i tempi giusti“.

ALVAREZ – “Sono felice che Alvarez inizi ad esprimere parte delle sue potenzialità: mi piacciono i giocatori di talento e lui ha sempre continuato a dare il massimo anche in un ambiente che lo ha avversato molto”.

PADRE IN VACANZA – “Diciamo che è un momento nuovo: respira di più, ora mio padre vive l’Inter con meno pressione. Ma non so se è quello che vuole davvero, abituato com’è a vivere di pressioni. Secondo me, nell’Inter o fuori, qualcosa che continui a dargliene la troverà comunque. Ma non è nella sua natura fare ‘vacanze’ troppo lunghe…”.

 

Raffaele Amato

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Raffaele Amato

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