ANALISI INTER / MILANO – Quello di ieri sera, è il dodicesimo pareggio in campionato dell’Inter di Mazzarri. Sterile, rigida e povera di idee quando gioca al ‘Meazza’, ovvero quando deve fare la partita al cospetto di un avversario obbligato a chiudere gli spazi e a ripartire. Troppo comodo rischiare il tutto per tutto nell’ultima mezz’ora, dopo aver perso quarantacinque-sessanta minuti, senza incidere, senza creare alcun pericolo per la porta avversaria. 7, invece, sono i pareggi racimolati in casa. Uno solo contro una grande, la Juventus. Gli altri sei, da dicembre in poi, con formazioni sulla carta nettamente più deboli: Sampdoria, Parma, Chievo, Catania, Cagliari e Udinese. Senza dimenticare il ko della scorsa domenica contro l’Atalanta, già salva ma che al ‘Meazza’ è stata capace di mettere sotto l’Inter per almeno tre-quarti di gara. Cosa servirebbe per invertire la tendenza? Una mentalità diversa, meno sparagnina (come a dire, “tanto prima o poi un gol lo faccio”) fin dall’inizio; un modulo più europeo (con, di base, la difesa a quattro), soprattutto in casa, quando spesso è inutile difendere con tre centrali più i due terzini se davanti vi è un avversario (spesso) schierato con una sola punta; in campo, dal via, più giocatori in grado di saltare l’uomo, quindi, di creare la superiorità in mezzo al campo, lì dove nasce l’idea di calcio che si vuol proporre: in rosa ci sono Kovacic e Botta, per esempio, entrambi rapidi nel dribbling e fantasiosi nel servire l’ultimo e decisivo passaggio. Perché appellarsi alla sfortuna o agli errori arbitrali, è solo da perdenti.
Raffaele Amato
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