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Contro l’Udinese il punto più basso di quest’Inter: da ora sarà trionfo o mediocrità

Roberto Mancini (Inter.it)

INTER MANCINI THOHIR / MILANO – Difficile resistere all’impulso di gettare il televisore dalla finestra, di fronte all’espressione (giustamente) soddisfatta di Thereau dopo il gol che ha zittito la ‘Scala del Calcio’. L’Inter è sempre la solita, purtroppo, una squadra in grado di resuscitare i morti – calcisticamente parlando – e di dispensare a chiunque regali inaspettati: la tripletta ad Ekdal, la doppietta di De Ceglie, il primo gol di Tomovic in due anni di Fiorentina, il primo gol a ‘San Siro’ di Thereau in cinque anni. Può capitare che un giocatore alla fine ti segni contro, ma non così, non in questo modo insulso. L’immagine dello scellerato retropassaggio di Palacio è l’emblema perfetto di un’Inter dal volto troppo brutto per essere vero, nonostante qualcuno si sia dato parecchio da fare per nasconderne cicatrici e rughe. Una tiratina qua, un piccolo lifting lì, un po’ di trucco laggiù, che tanto mica si vede niente. I nodi, però, vengono sempre al pettine, nonostante i toni trionfalistici di qualche dirigente e i numeri snocciolati in serie dal precedente tecnico, sempre bravo a cercare di spacciare per buono il proprio lavoro in ogni conferenza stampa pre-partita, e a cercare giustificazioni in seguito. Come un mercante che deve cercare di vendere la propria merce scadente al prezzo più alto possibile.
Analizzata la prestazione di ieri a mente fredda, la realtà è evidente e parla chiaro, chiarissimo: questa Inter presenta gravi lacune qualitative e strutturali a livello di organico, un’esaltazione sfrenata dell’individualismo, una mentalità provinciale unita ad una profonda perdita di valori dal punto di vista morale.
E, paradossalmente, la carenza di qualità non sembra neppure il problema peggiore. Certamente giocatori dello stampo del Nagatomo visto recentemente non avrebbero mai giocato in pianta stabile nell’Inter di dieci anni fa, ma anche quella squadra aveva giocatori non di primo livello (da Gamarra a Coco, passando da Favalli allo stesso Pasquale che ieri ha fatto il bello e il cattivo tempo sulla fascia sinistra friulana) eppure fu in grado di piazzarsi facilmente al terzo posto vincendo anche la Coppa Italia ai danni della Juventus. E poi, il Genoa di Gasperini non avrà mica giocatori migliori di quelli a disposizione di Mancini, no?

La prima aggravante presa in esame, dunque, può essere l’individualismo, presente in tutte le sue forme. Non si parla soltanto di giocare per i fatti propri (come fa a volte Guarin, l’anarchico per eccellenza, una bomba sempre pronta ad esplodere le cui intenzioni sono però sconosciute anche ai suoi stessi compagni), ma anche della mentalità stessa dei giocatori, più interessati al proprio tornaconto che non al benessere della squadra. Lo stesso Campagnaro ha ammesso candidamente (come se fosse una cosa normale!) di aver litigato con Mazzarri per la propria voglia di giocare con l’Argentina, guarda caso la stessa selezione di un Rodrigo Palacio che durante il Mondiale ha anche rimediato un infortunio i cui postumi non sono ancora stati smaltiti. Possibile che dei giocatori già abbondantemente oltre i 30 anni non si rendano conto di non essere in grado di sostenere un doppio impegno? E possibile che un club che paga lauti stipendi ai propri calciatori non abbia la dose di spina dorsale necessaria per opporsi e tutelare i propri interessi? Perché in fondo, l’errore commesso ieri da Palacio nasce un po’ anche da questo discorso, visto che ‘El Trenza’ non era mai apparso così logoro e scarico – mentalmente e fisicamente – prima della rassegna iridata brasiliana.

La seconda aggravante riguarda, come già detto, la scarsa coesione e la mentalità provinciale ereditata dalla gestione di Mazzarri. Un allenatore che non avrà certo tutte le colpe (anche se, oltre ai limiti tattici, può essere considerato quantomeno co-responsabile del parziale fallimento sul mercato avendo avallato ogni scelta di Ausilio), ma che ha avuto il profondo demerito di snaturare sé stesso e la propria idea tattica. Nel momento in cui ha dovuto abbandonare il contropiede che gli aveva permesso di fare bella figura col Napoli, il tecnico toscano ha costruito le proprie (s)fortune su uno sterile possesso palla e sull’accanita difesa di ogni minimo vantaggio acquisito. Ne è nata una squadra troppo sconcertata in fase offensiva e troppo sfilacciata in fase difensiva, una squadra senza idee e carattere, incapace di insistere una volta trovato l’1-0 (neppure contro un Cesena rimasto in dieci uomini) e ormai quasi abituata a farsi rimontare. Questa Inter in campionato non sa più vincere, ne è testimonianza l’orrendo spettacolo offerto ieri nel momento in cui le si chiedeva soltanto di mantenere il vantaggio e di ammazzare la partita: uno spettacolo purtroppo simile al pareggio col Verona o a quelli con Bologna e Livorno nella scorsa stagione (alzi la mano chi ieri, al 71′, non ha rivisto lo sciagurato assist di Guarin per Emeghara), o ad altri innumerevoli precedenti che non c’è bisogno di citare. Se i giocatori sembrano impauriti all’idea di ricevere il pallone un motivo ci sarà, e non può essere soltanto legato alla loro scarsa personalità: difficile credere che un Kuzmanovic o un Dodò abbiano meno carattere di un qualsiasi calciatore dell’Empoli o del Parma. Un “in bocca al lupo” per Roberto Mancini è doveroso, perché dovrà ricostruire psicologicamente ogni singolo giocatore a sua disposizione ed il lavoro che lo attende è parecchio arduo.

La terza aggravante, infine, riguarda gli scarsi valori morali di gran parte della rosa nerazzurra. Posto che Ranocchia non ha assolutamente le qualità per indossare la fascia che in passato fu al braccio dei vari Zanetti, Bergomi, Baresi, Altobelli, Meazza e chi più ne ha più ne metta, per quasi tutti gli elementi della rosa l’attaccamento alla maglia è piuttosto scarso e sicuramente molto meno forte rispetto a quello – quasi al limite del morboso – per i social network. Il tifoso non vuole divertirsi leggendo i post di Juan Jesus su Twitter. Vuole vedere in campo veri uomini, prima che giocatori; vuole vedere in campo undici leoni pronti a sputare sangue per amore della maglia, se ne infischia di tatuaggi o pettinature all’ultimo grido. E allora quello che manca è forse un po’ di umiltà abbinata ad una sana mentalità del lavoro, quella che in altri tempi portò un certo Javier Zanetti ad allenarsi anche il giorno del proprio matrimonio… Difficile però lavorare su questo, anche perché il mondo del calcio rispecchia in una maniera disgraziatamente crudele la società che ne sta a contorno.

Che fare, dunque? La prima cosa da fare è confermare la propria fiducia a Roberto Mancini. Una fiducia che sia vera, però, non di cartone (per usare un termine tanto caro ai rivali bianconeri). Il tecnico va seriamente messo nelle condizioni di lavorare, e non soltanto sul mercato. Da Erick Thohir, bravissimo nel rispondere alle punzecchiature di Agnelli, ci si aspetterebbe anche maggiore attenzione quando i media nazionali bistrattano il tecnico o la squadra, seminando gramigna e panico nella tifoseria e in chi non ha i mezzi per sapere come vanno davvero le cose. Più trasparenza e meno incertezza, dunque. Mancini ha già portato in alto l’Inter e, se messo nelle giuste condizioni, potrebbe inaugurare una nuova e grande scalata a questa Serie A terribilmente povera di qualità e talento. Che il ‘Mancio’ venga confermato per la prossima stagione, però, è una necessità imprescindibile. I miglioramenti sul piano tecnico si stanno già vedendo (nel primo tempo di ieri la squadra ha giocato una delle sue migliori partite in questa stagione) e il mercato di gennaio potrebbe dare una grossa mano allo jesino, in attesa che il suo lavoro plasmi una squadra in grado di lottare contro chiunque fino al fischio finale. In quanto a parole, ci siamo: il caso M’Vila è stato liquidato alla grande (“M’Vila ha sbagliato ma non farà più una cosa del genere”) e Mancini ha già fatto capire la propria voglia di fare bella figura (“A Roma la sconfitta ci può stare? Non è vero, sul 2-2 potevamo fare molto di più e vincere“), una cosa a cui questa squadra non è più abituata. Fare bella figura.
Per questo, sentir dire che il mercato invernale dell’Inter sarà fatto di prestiti incute una profonda inquietudine mista a risentimento. Dalle strategie che la società attuerà durante il mese di gennaio, infatti, capiremo definitivamente se questa nobile decaduta intende risollevarsi e riprendersi il trono e lo scettro, oppure se intende sguazzare nel fango annaspando a metà classifica in questa stagione e negli anni a venire. Fair Play Finanziario oppure no, un modo ci deve essere.
E se invece non c’è, almeno non veniteci a raccontare che l’anno prossimo giocheremo la finale di Champions nel nostro stadio. Per favore.

Alessandro Caltabiano

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