INTER-WOLFSBURG / MILANO – È fatta, ormai. Anche l’ultima (esigua) possibilità di riscattare la stagione è svanita, lasciando nei tifosi un profondo senso di insoddisfazione neanche troppo malcelata. A dispetto di tutte le chiacchiere e i dati snocciolati durante la settimana dai suoi calciatori, dopo la promessa di dare l’anima in campo per giocare la partita perfetta, l’Inter ha perso ancora, e questa volta tra le mura amiche di ‘San Siro’. E la sconfitta, sinceramente, è l’ultimo dei mali: i nerazzurri si erano giocati la qualificazione già all’andata e ieri notte, pur concedendo le solite occasioni nitide ai tedeschi, hanno subito l’1-2 perché sbilanciati alla ricerca di un gol che avrebbe quantomeno reso l’eliminazione meno amara.
Il resto è tutto nella norma. Un Kovacic scialbo – anche perché schierato in una posizione che non gli è molto congeniale – che dovrà ancora lavorare molto se intende rispecchiare le aspettative e diventare un fuoriclasse. E non se la prenda con Mancini, uno che di giovani ne ha fatti crescere tanti e che non può non avere a cuore il suo bene. E ancora, un Guarin che ha perso l’ennesimo treno verso la consacrazione a campione vero; un D’Ambrosio che alterna buone cose ad errori evitabili; un Campagnaro mediocre e assolutamente inadatto al ruolo di laterale, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista della carta d’identità. Ma soprattutto, ancora una volta, Juan Jesus, spaventosamente involuto rispetto al difensore promettente e grintoso che si era dimostrato a tratti nella sua esperienza a Milano. Anche nella serata di ieri, l’ex Internacional si è concesso due dormite allucinanti, inconcepibili se si considera un calciatore come professionista prima che come sportivo. È possibile che un chirurgo si distragga in sala operatoria, o che un autista si appisoli al volante di un pullman di linea? Possibile lo è, forse, ma è anche piuttosto deprecabile. Che manchi la concentrazione è appurato, ma qual è la causa? Scarsa cultura del lavoro, quella che ha reso leggenda un buon calciatore come Javier Zanetti? Scarsa maturità? Distrazioni da social network e vita mondana nel capoluogo lombardo? Problemi personali (esistono anche quelli, purtroppo)? Impossibile saperlo dall’esterno: forse una cosa tra queste, forse tutte insieme. E Campagnaro, lì che se la rideva in panchina a pochi minuti dalla fine, mentre la sua squadra sul campo affondava? Cos’è, ridere, una nuova forma di delusione o di attaccamento alla maglia? La volontà di rovesciare veramente il 3-1 rimediato alla ‘Wolfswagen Arena’, quella furia che tutti hanno espresso a chiacchiere, si è vista alla fine soltanto da pochi, e soltanto a sprazzi. Per il resto, le solite distrazioni, un senso di rassegnazione quasi totale e quella risata del difensore dalla panchina, risata che fa male al cuore, se la si immagina contrapposta alla cocente delusione di chi invece ha pagato il biglietto per entrare a ‘San Siro’ credendo davvero alla rimonta, credendo alle promesse dei propri beniamini, con le immagini delle glorie passate negli occhi. Una risata, quella di Campagnaro, che sa quasi di insulto per chi alla maglia, e alla storia, e alla tradizione, ci tiene davvero. Ma ridi, ridete pure, non c’è problema. Solo, non prendete più in giro i tifosi. Quelli nerazzurri hanno tanti difetti, ma sono tra i migliori tifosi che si possano immaginare. Volevate lo stadio pieno, dicevate di aver bisogno del loro appoggio? Loro c’erano. Ci hanno creduto spesso in passato ed erano pronti a crederci questa volta. Se pensate che “sia troppo difficile”, che il Wolfsburg “sia troppo superiore”, allora che vengano fatte poche chiacchiere prima della partita. Come hanno fatto i giocatori tedeschi, che prima hanno lavorato e sudato ed oggi, nel day-after, a risultato raccolto, si stanno concedendo ai microfoni di tutta Europa per raccontare di come hanno sconfitto ed estromesso l’Inter dall’Europa. Il tifoso nerazzurro, benché sognatore, è stufo di sentire promesse non mantenute. Le stesse promesse che, all’inizio della stagione, erano state scritte su un muro ad Appiano Gentile: a vederlo ora con la mente, quel muro, si presenta come sbiadito, scolorito dalla pioggia di delusioni che, ahinoi, anche quest’anno ci è toccato digerire.
Alessandro Caltabiano
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