Acerbi era comunque già stato condannato dai tifosi avversari e dai tifosi-giornalisti, come sempre i peggiori, a cui non frega una beata mazza di Juan Jesus e della lotta al razzismo
È molto probabile, per non dire certo che Juan Jesus non si sia inventato l’insulto razzista, o che non abbia sentito male come sostenuto da Acerbi, ma la sentenza di assoluzione (per insufficienza di prove) emessa ieri dal Giudice sportivo è giusta. Sacrosanta.
È vero che nella giustizia sportiva l’onere della prova è a carico dell’accusato, ma è altrettanto vero che per squalificare qualcuno, e in questo caso parlavamo di un minimo di dieci giornate cioè di addio Europeo e addio Inter (chissà che non venga scaricato ugualmente), ci debbano ugualmente essere degli elementi, quantomeno “indizi gravi, precisi e concordanti in modo da raggiungere al riguardo una ragionevole certezza” come ha scritto Mastrandrea nel dispositivo. Altrimenti lo stesso avrebbe potuto decidere a simpatia, in base a una del tutto personale opinione già all’indomani dell’accusa di Juan Jesus, o successivamente al post Instagram del brasiliano senza chiedere l’intervento della Procura federale.
L’assoluzione di Acerbi, al quale si può anche imputare di aver gestito male il tutto dal punto di vista comunicativo (l’Inter stessa si è mossa fin troppo a rilento e in maniera ambigua), ha un peso inferiore alla condanna mediatica arrivatagli già poche ore dopo il fatto di San Siro. Una condanna a prescindere da parte dei tifosi avversari e dei tifosi-giornalisti, come sempre i peggiori, a cui non frega una beata mazza di Juan Jesus e della lotta al razzismo. Una cosa seria, che proprio per questo va affrontata lontano da ogni tipo di schieramento e moralismo spiccio. Con terzietà, la stessa con cui – nonostante la grancassa mediatica – ha agito il Giudice sportivo. Per fortuna viviamo ancora in uno Stato di diritto.
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