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Il problema è anche Mancini

Ausilio, Fassone, Mancini e Bolingbroke

ANALISI INTER / MILANO – C’è un netto contrasto tra i desideri di Mancini (Touré, Dybala e così via) con le parole di Ausilio, il quale antepone le idee ai soldi – non a torto, ma noi lo vediamo come un mettere le mani avanti – facendo l’esempio della Lazio, che ha speso con oculatezza (non sempre) ritrovandosi nel giro di un anno da una classifica anonima a lottare per il secondo posto.

Ma il ds nerazzurro parla dimenticandosi due aspetti: il primo, che l’Inter resta un grande club e un ambiente abituato a grandi campioni per nulla paragonabile, nemmeno ora, alla Lazio, alle pressioni e ambizioni (comunque alte) di quello biancoceleste; il secondo, Mancini non è Pioli, che noi ‘seguiamo’ fin dai tempi della Salernitana e che consideriamo un (grande) allenatore in rampa di lancio.

Mancini, come disse Fassone qualche tempo fa, è invece un tecnico affermato e ‘demanding’, cioè esigente. Un allenatore che oggi vediamo in grande confusione ma che ormai ha superato da un pezzo lo step di carriera in cui è stato ‘costretto’ – assai meno di adesso – a lavorare con giocatori di livello medio-alto, quindi non idonei a lottare per massimi traguardi.

Per questo, il problema dell’Inter è anche Mancini, fuori categoria per questa squadra e, dato che non ci piace vender sogni ma solide realtà (citazione immobiliare), anche per quella che sarà. A meno che Thohir non diventi tutt’un colpo Abramovich e il Fair Play Finanziario di stampo ‘paolilliano’ venga buttato nel water da un giorno all’altro…

Mancini lo vedremmo benissimo in un’Inter capace di poter spendere fior di milioni, perché tra i migliori nel saper scegliere i giocatori adatti per amalgamare una grande squadra, malissimo in una non d’elite e quasi obbligata a vivere alla giornata, dove sarebbe più utile un allenatore ‘valorizzatore‘ al massimo della rosa a disposizione.

Ma il problema Mancini viene solo dopo quello Ausilio, che giustifichiamo (date le poche risorse) solo un po’ per i disastri fatti in sede di campagna acquisti (9 milioni per Dodò, chi guida la Nazionale direbbe ‘agghiacciante’) ma che allo stesso tempo riteniamo inadeguato per il ruolo di direttore sportivo, soprattutto per la poca personalità e autorevolezza mostrate in questi mesi di liberazione dal capo-Branca.

Specie nel caso di esonero Mazzarri e chiamata Mancini, decisioni che in una società sportiva prenderebbe il responsabile dell’area tecnica (quindi Ausilio) non, invece, il presidente che nulla sa di calcio con la gentile e decisiva collaborazione dell’ex proprietario oggi azionista di minoranza.

Tradotto: per l’area sportiva non serve uno yes-man ma un manager con spalle larghe, autorevole e in grado gestire a pieno regime un progetto tecnico (uno alla Sabatini, ma non per forza di cose Sabatini stesso) che consenta anche a Fassone, un altro che non può occuparsi di calcio in senso stretto, di fare altro all’interno del club.

Uno, insomma, capace di orientarsi sull’allenatore giusto per il momento e le possibilità. Per la squadra.

Raffaele Amato

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Raffaele Amato

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