Inter, quella voglia di vincere che non c’è più…

Massimo Moratti - Getty Images

INTER, ERRORI DI IERI E DI OGGI/ MILANO – Alla chiusura di questa stagione manca ormai poco: cinque giornate e poi si calerà il sipario su uno dei più brutti campionati giocati dalla squadra nerazzurra nella sua storia, dodici sconfitte su trentatrè gare giocate, segnale inequivocabile dei problemi dell’Inter… dei molti problemi.

ZERO MOTIVAZIONI – Come sempre, nel bene e nel male, è la voglia di vincere, la voglia di raggiungere un traguardo, che fa la differenza. Lo si è visto in Italia con la Juventus, inferiore dal punto di vista tecnico rispetto al Milan, ma maggiormente desiderosa di successo rispetto ai rossoneri. Lottare per alzare un trofeo o più trofei è capitato all’Inter fino a maggio del 2011, grazie alla vittoria in finale di Coppa Italia contro il Palermo. L’ultimo di un grande ciclo, ma non quello che ha sancito la fine del ciclo nerazzurro: la chiusura delle grandi vittorie, della grande squadra, avvenne la notte di Madrid, l’indelebile notte per tutti i tifosi interisti. La conquista della Champions League, attesa per quasi mezzo secolo, ha toccato la punta più alta delle motivazioni dei giocatori della Beneamata, e forse anche dello stesso presidente Moratti. Lì, al Santiago Bernabeu, è finito tutto: è svanita, come nel nulla, la sete di vittoria, la grinta e la determinazione, mai più riviste – almeno in gran parte – fino ad oggi. Agonismo, e non solo quello, che ha contraddistinto in positivo la Juventus di Conte, in negativo l’Inter di Gasperini, Ranieri, e ora Stramaccioni (in larga parte anche quella di Benitez e Leonardo).

CAOS ALLENATORI e CESSIONE DEI BIG – La parabola discendente dell’Inter ha avuto inizio con la vendita, o in alcuni casi svendita, dei suoi pezzi da novanta: prima Ibrahimovic, l’unico rimpiazzato a dovere con Milito ed Eto’o, poi quella di Balotelli – estate 2010 – e infine quella del Re Leone, venduto come SuperMario, a prezzo di saldo di fine stagione. Tre cessioni in tre estati, più l’ultima dello scorso gennaio, quella di Thiago Motta al Paris Saint Germain, uomo cardine della squadra allenata allora da Ranieri. Cessione dei big di pari passo al continuo e caotico cambio di allenatori. Un continuo via vai dalla Pinetina agli uffici di Ghelfi (avrà chiesto l’aumento a Moratti per il duro lavoro di questi ultimi mesi), che ha prodotto un marasma totale in tutto l’ambiente, compreso lo spogliatoio, pronto un mese sì e l’altro pure, a incensare il mister di turno, un modo come un altro per guadagnarsi il posto fisso nella formazione titolare.

GIOCATORI NON DA INTER – Mandar via i più forti non ha coinciso con l’arrivo di sostituti all’altezza, o tantopiù di giovani promesse. Solo nell’agosto del 2009, dopo la partenza di Ibrahimovic, arrivarono giocatori di grande spessore, i vari Milito ed Eto’o sono un esempio. Dall’estate del 2010 a quella del 2011, le partenze di Balotelli ed Eto’o sono state rimpiazzate da giocatori con poco bagaglio tecnico, o peggio ancora, da mezze figure, non idonee al blasone della Beneamata. Via SuperMario, dentro Biabany e Coutinho, via il camerunense, dentro Forlan, Alvarez, Zarate e Castaignos, che messi tutti insieme, probabilmente – magari per qualcuno non sarà così – non fanno mezzo Eto’o. Un indebolimento protrattosi fino a pochi mesi fa: Motta a Parigi, sostituito da Palombo e Guarin, il primo scarto di una squadra di serie B (la Sampdoria, ndr), il secondo uno scarto del Porto, che è stato capace di venderlo ai nerazzurri infortunato, e con un prezzo per il riscatto fissato a una cifra assai considerevole visti i tempi di ristrettezza economica (13 miloni di euro circa, ndr) che sta vivendo il calcio e la società nel suo complesso. Da dove ripartire ora toccherà stabilirlo a Moratti, sperando, per i tifosi interisti, che certi errori abbiano insegnato qualcosa… magari a non ripeterli.

 

Raffaele Amato

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