Inter, i segnali lanciati da Moratti e una società mai all’altezza

Massimo Moratti e Marco Branca (Inter.it)

INTER STRAMACCIONI MORATTI MAZZARRI / MILANO – Tutto, e di più. Se ne sono sentite di tutti i colori, da ogni latitudine, da Milano a Roma, o nelle ultime ore da Coverciano. Stramaccioni non è più l’allenatore dell’Inter, questa la prima certezza: Mazzarri il suo sostituto, la seconda. L’avventura del giovane tecnico romano si è conclusa dopo appena quattordici mesi, in cui non è stato raggiunto alcun obiettivo tecnico, ancor prima che ‘trofeistico’. Era già stato scritto il finale, seppur ci siano state delle titubanze fino a qualche ora fa, qualcuno pare sia rimasto sorpreso dal cambio di rotta di Massimo Moratti – né il primo né l’ultimo della sua gestione -, che in realtà aveva sondato altri tecnici già dallo scorso gennaio, in primis Lucescu dopo il pesante capitombolo di Firenze, un 4-0 senza storia, il primo grande segnale dell’esistenza di una terribile confusione nella testa dell’allenatore, triturato dalla nevrosi da psico-analisi dell’ambiente interista, dalle nefandezze sul mercato e da una scarsa protezione societaria, mescolate a una personalità del trentasettenne ancora da inquadrare per bene.

Stramaccioni non ha avuto mai peso nelle scelte, alcune le ha avallate, in altre ha semplicemente fornito delle indicazioni, poco seguite per convenienza o esigenza dall’area tecnica, gestita e guidata dal ‘potente’ e fidato Marco Branca, il quale meriterebbe, come il mister, di essere allontanato dal club nerazzurro, in modo da cominciare, stavolta sul serio, una rivoluzione totale che non coinvolga, come in passato, solo chi siede sulla panchina o chi all’interno della società ricopre incarichi di poca rilevanza sportiva: Butti per Cordoba o Viganò per Caldara, giusto per fare due esempi.

Ci vuole una società forte, un club glorioso come l’Inter ha bisogno di competenza, organizzazione, intelligenza, lungimiranza e serietà. Requisiti venuti a mancare, o per meglio dire sempre assenti in Corso Vittorio Emanuele. Moratti, che ha sempre pensato agito e investito (tantissimo) come il primo tifoso, non ha mai voluto e acconsentito che nell’organigramma societario venisse inserito un manager di grande caratura, abile nel rapporto con i media e con una personalità talmente forte da proteggere contro qualsivoglia attacco o ostacolo il tecnico e i giocatori di turno.

Navigando a vista, tenendo in piedi un’Inter senza programmazione a lungo termine, negli anni cosiddetti ‘migliori’ è riuscito a ottenere importanti risultati grazie al lavoro sublime e stressante prima di Mancini e poi di José Mourinho, il quale ha trasformato in oro colato l’egregio lavoro del ‘Mancio’, che aveva saputo piantare le fondamenta di quella squadra che nel 2010, a fine ciclo, seppe vincere Scudetto, Champions League e coppa Italia. Finiti i soldi e i campioni, la ‘Beneamata’ è ripiombata nel caos più totale, dall’estate famosa del ‘Triplete’ ad oggi cinque allenatori sono stati cambiati, in ultimo il giovane romano, così come molti giocatori – eccetto gli argentini, che nel frattempo sono aumentati -, ma mai i quadri dirigenziali, tralasciando gli addii di Oriali e Paolillo, entrambi con nessun potere tecnico decisionale.

Giusto l’esonero, ancora non ufficiale, di Andrea Stramaccioni, per i motivi spiegati ormai in ogni dove. Ingiusto, però, che a pagare la fallimentare annata, la seconda consecutiva, sia solo lui: chi fa il mercato ha commesso molti più errori dei tecnici passati alla Pinetina negli ultimi tre anni, eppure è sempre lì. La fiducia e la stima devono sempre andare a braccetto con i risultati: in mancanza di ciò, bisogna cambiare. Questo, in una società ‘normale’…

 

Raffaele Amato

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