Inter, Conte furbo e provocatore: com’è bello il calcio all’italiana

Walter Mazzarri (Getty Images)

INTER CONTE MAZZARRI / MILANO – A Nereo Rocco ed Helenio Herrera, miti indelebili del calcio italiano nonché allenatori di Milan e Inter negli anni ’60-70, la critica e gli avversari di allora ne dissero di tutti i colori. L’accusa più becera e stupida rivolta a loro, fu in assoluto quella di essere dei ‘catenacciari‘. Ignorante, in aggiunta. I due, che alla tattica seppero abbinare una diversa ma vincente gestione dello spogliatoio – altro che i ‘santoni’ di oggi -, sul campo rispondevano per le rime, con schieramenti che prevedevano sì difesa e mediana blindate, ma anche o soprattutto un elevato numero di attaccanti, o comunque di giocatori prettamente dediti al gioco offensivo: Milani, Jair, Mazzola, Suarez e Corso, il quintetto offensivo (non il solo) della ‘Beneamata’ che fu; Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera e Prati del ‘diavolo’ 1968.

Le due squadre conquistarono il tetto d’Europa e del mondo, ancor prima quello italiano, con il classico calcio all’italiana, che contemplava principalmente il recupero del pallone dai piedi dell’avversario e il successivo contropiede, oggi addolcito per sciocco timore con il termine ‘ripartenze‘. Applicandosi in tal modo, non trionfarono solo le due milanesi, ma in passato (l’Italia dei due mondiali di Vittorio Pozzo, il c.t. italiano più vincente della storia, che inventò il ‘metodo’) e successivamente agli anni ’70 la Nazionale azzurra campione del mondo 1982, la super Juventus di Trapattoni o l’Inter dei ‘record’ – sempre del Trap – stagione 1988-1989. Passando agli anni ’90, il Milan di Capello – prima anche e in parte quello di Sacchi, seppur lui non lo ammetterà mai -; per arrivare ai giorni nostri, l’Inter di Mourinho, che schierando Sneijder, Pandev, Eto’o e Milito aveva in pratica quattro riferimenti d’attacco in campo: il Triplete, però, arrivò dopo partite memorabili e tatticamente perfette; zero o quasi spazi agli avversari, conquista del pallone e quattro-cinque passaggi per arrivare nella porta nemica.

Per ultimo, il Bayern Monaco di Jupp Heynckes: un altro terzetto di trofei grazie al passo rapido della squadra tedesca una volta rubato il pallone: pochi passaggi, sfruttando le ali e gli inserimenti degli interni. Tutto in velocità – ricordate l’azione del 3-1 di Milito contro il Barcellona, andata semifinali Champions League? -, una volta interrotto la ‘trama’ altrui. Miglior attacco, miglior difesa: il gioco all’italiana garantisce questo, il sacrosanto equilibrio. Intravisto nell’Inter attuale di Mazzarri, e nel Napoli di una stagione fa, allenato sempre dal mister di San Vincenzo. Il quale, evidentemente conosce benissimo il calcio (più di qualche suo collega), ha fatto le sue fortune proprio con l’arma più disprezzata dai cultori del “bel giuoco”, quello che spesso fa addormentare allo stadio o sulla poltrona di casa, perché tutte (le squadre) non possono pretendere di poter emulare il Barcellona di Guardiola: lo spagnolo, tra l’altro, ha ‘preso’ molto dal nostro intendere e pensare calcio.

Benedetto contropiede: difesa impenetrabile, mediana pronta a ‘incontrare’ e interrompere la manovra avversaria, pochi passaggi e gol. Insomma, l’excursus storico è servito per sottolineare le dichiarazioni di Antonio Conte. Le ultime. Più che dichiarazoni, a noi (un po’ maligni) sembrano ‘provocazioni‘: “L’Inter somiglia al suo allenatore: ha già assorbito i concetti ‘difensivi’ di Mazzarri“. Difensivi? Il Napoli dell’anno scorso, a fine stagione, fu il miglior attacco del campionato – schierava Hamsik, Pandev e Cavani (tre attaccanti), più le ali Zuniga e Maggio: quindi, cinque riferimenti offensivi -, davanti proprio alla Juventus: 73 contro 71. Però, bravo quel catenacciaro di Mazzarri! La ‘Vecchia Signora’, quella del presunto coach ‘offensivista’, ha invece avuto la miglior difesa: 24 vs 36. Conte ha provato a fare il furbo, nel finto elogio in realtà ha voluto ‘disprezzare’ il suo rivale. Come i suoi antichi colleghi con Rocco ed Herrera. Ieri come oggi, il calcio lo conoscono sempre in pochi.

 

Raffaele Amato

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