Persa l’ennesima occasione: Thohir il ‘salvagente’ dell’Inter

Massimo Moratti (Getty Images)
Massimo Moratti (Getty Images)

INTER MORATTI THOHIR / MILANO – Difficile e facile capire il perché. Resta il fatto che la società Inter, non esiste. Per società si intendono tutte quelle componenti che in un modo o nell’altro dovrebbero innanzitutto difendere e tutelare onore e prestigio del club. Per onore e prestigio ci riferiamo anche a tifosi e allenatore, due categorie che in Corso Vittorio Emanuele, tantopiù negli uffici Saras, vengono spesso dimenticate. Tutto accadde ieri, ma è abbastanza banale dire che il ‘male’ abbia origini ben lontane. Un post di Andrea Agnelli, che aveva già messaggiato e in un certo senso ‘avvisato’ l’ex leader Massimo nerazzurro, scatena il putiferio: “La capitale dell’Indonesia ora non si chiamerà più Giacarta, ma Giacartone”.

Su Facebook, che stando ad alcuni post della sua pagina non gestisce sempre in prima persona, il presidente della Juventus tira di nuovo in ballo la trita e ritrita storia degli scudetti, allegandoci una battuta sciocca, memore dell’avvento a capo della beneamata dell’indonesiano Erick Thohir. Così Giacarta, diventa Giacartone: per gli smemorati, ‘lo scudetto di cartone’, così definito il tricolore revocato nel 2006 alla vecchia signora e assegnato d’ufficio al club nerazzurro. L’episodio non avrebbe dovuto far cascare il mondo, ma quantomeno scatenare una piccola e giusta reazione all’ambiente interista, esclusi i tifosi.

Invece, come al solito, non succede un bel niente. Non risponde Branca, non parla Ausilio, resta zitto Fassone. Muti come i pesci. Fino a stamane, quando arriva pronto e atteso il piccolo graffietto (come quello di un micino appena nato) di Massimo Moratti, che sembra quasi avere della sudditanza psicologica nei confronti del discutibile Agnellino: “Questa battuta mi era stata preannunciata tramite un sms molto affettuoso nei confronti miei e della società, ma sono rimasto sorpreso che sia proseguita sui social network. Credo sia stata un’ingenuità, ma è una battuta di spirito che finisce lì”.

Da sottolineare e tenere a memoria, l’aggettivo ‘affettuoso’. Sarebbe bastato rispondere con tono vivace e persino goliardico all’evitabile uscita ‘social’ del numero uno bianconero, anziché trincerarsi dietro al “non me l’aspettavo” o “credo sia stata un’ingenuità”. Non lo sappiamo, magari Massimo e Andrea (che ci scuseranno per il “tu”) amano andare a cena insieme la sera, oppure guardare sullo stesso divano le partite di calcio internazionale. Chissà. Sta di fatto che Moratti abbia per l’ennesima volta rinunciato a tutelare l’Inter, a difenderla mediaticamente contro i ‘carnefici’ dello scandalo degli scandali, ovvero ‘calciopoli’. Questo è solo l’ultimo (speriamo) episodio di una lunga lista.

Non deve meravigliarsi Mazzarri, se quando parla di calendario sfavorevole per la sua squadra (a torto o ragione), nessun dirigente interista prosegua a ruota la polemica con furore e autorevolezza nelle sedi opportune; o se Palacio (e Campagnaro), malandato, gioca novanta minuti una partita inutile con la sua Argentina, mettendo a rischio (come nel recente passato), la sua presenza col Torino domenica sera. L’Inter morattiana è fatta così, non ha forza dirigenziale ed è colma di ambiguità e sbadataggine al posto di comando. La speranza si chiama Thohir (e l’avvento di un manager di spessore), ma quanto prestigio e onore dovrà ancora perdere l’Inter prima dell’agognata rivoluzione?

 

Raffaele Amato

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