
Gli viene poi chiesto se “prostituzione intellettuale”, “rumore dei nemici” e “zero tituli” fossero espressioni spontanee: “Sì, assolutamente. Il calcio è emozione, dopo quindici anni di carriera ancora non posso viverlo senza passione. Ora naturalmente mi controllo un po’ di più, ma l’emozione non può mancare e la mia carriera all’Inter ne è stata piena. Ci sono state emozioni, momenti difficili e drammatici, e parole uscite dal cuore. La cosa importante è stare bene. Io sono un allenatore, ma sono anche un uomo. La tua vita e la tua famiglia devono essere felici, devono piacerti i giocatori che hai, il rapporto con i tifosi, che sono una parte importante della tua vita e di quella del club. Il rapporto con i tifosi dell’Inter è stato unico, sin dal primo giorno, e lì ho trovato anche una squadra incredibile”.
“Avevamo tutti un rapporto fantastico. Ogni tanto ci penso, il rapporto tra i giocatori era un qualcosa di davvero speciale perché lavorare con me non è facile. Con i giocatori sono molto critico, mi piace creare in loro una personalità forte. Esigo, presso, mi piace il confronto, la discussione forte. All’Inter poi trovai già delle personalità forti e questo rese il mio lavoro più facile. Avevamo due obiettivi: quello basilare era continuare il dominio in campionato, ma sapevo che non ero venuto a Milano per quello. Sapevo che nella prima stagione la squadra non era preparata per vincere la Champions, né psicologicamente né tatticamente, ma poi lavorammo bene perché il gruppo era speciale”.
“Dall’inizio della mia carriera ho avuto sempre obiettivi chiari. Dopo il Portogallo volevo l’Inghilterra, poi la mia sfida era l’Italia. Avevo rispetto degli allenatori italiani, gente come Sacchi o Trapattoni, tutti vincenti nella loro carriera. Volevo vincere in Inghilterra, in Spagna e in Italia, e ci sono riuscito, ma all’Inter ho lasciato qualcosa di speciale. Herrera e Mourinho sono i punti più alti della storia del club: sono andato via piangendo, ma anche l’abbraccio con Moratti fa capire che ha accettato che con lui e tutti loro ho fatto qualcosa di fantastico”.
Ma, se dovesse chiamarlo un’altra italiana, Mourinho direbbe di sì o di no? “Non posso dire cosa succederebbe, il calcio è il calcio e io sono un professionista. Se un giorno voglio allenare e sono senza squadra, e l’Inter non mi vuole oppure ha già un bravo allenatore… L’Inter andrebbe sempre prima rispetto alle altre italiane. Da un’altra parte allenerei da professionista, mentre all’Inter ci sarebbero in più la passione e il rapporto che ho con la storia”.
Alessandro Caltabiano