Inter, esiste un progetto? Fiumi di parole, ma la situazione attuale lascia perplessi

Thohir e Roberto Mancini
Thohir e Roberto Mancini

PROGETTO INTER / MILANO – Sono ben lontani i tempi dei mercati sfarzosi dell’era pre-Triplete. Ai tempi – ahimé – l’Inter era ancora una squadra affamata di gloria, con un presidente romantico, ambizioso e ossessionato dal desiderio di eguagliare le grandi imprese paterne realizzate negli anni Sessanta. Un presidente ossessionato da quella Champions League che mancava al club da 45 anni, ma che, col senno di poi, si è rivelata un boomerang affilatissimo per il ‘Biscione’, la cui dirigenza non ha saputo sfruttare il momento propizio per gettare le basi e rendere l’Inter in grado di competere stabilmente con le grandi d’Europa. Quello che sta provando a fare adesso la Juventus, tanto per intenderci, con Paulo Dybala e Sami Khedira di fatto già a disposizione di Max Allegri.

A più di cinque anni da quel fantastico 22 maggio, l’Inter si trova in uno dei momenti più delicati della sua storia. Dopo un lustro trascorso in un declino pressoché inarrestabile (siamo arrivati ad accontentarci, per così dire, di un ottavo posto!), alla dirigenza spetta il difficile compito di ricostruire una squadra in grado non di vincere il campionato, ma perlomeno di provare a farlo: a differenza del passato, però, non si potrà più fare affidamento sui pesanti esborsi a cui Massimo Moratti ci aveva abituato, esborsi talvolta figli più del capriccio che della necessità. Serviranno operazioni intelligenti, ma soprattutto, servirà programmazione. Ed è questa, purtroppo, l’elemento che sembra mancare agli attuali vertici societari dell’Inter. Troppe contraddizioni, troppi misteri, troppe gaffes, troppe parole al vento. Chiunque, dal presidente Thohir a Roberto Mancini, passando per il vicepresidente Zanetti e gli uomini di mercato, continua a ripetere che l’obiettivo è quello di costruire una squadra in grado di lottare per lo Scudetto (al tifoso interista medio, probabilmente, basterebbe un ritorno in Champions League), ma non c’è nessuno che ci spieghi mai come si pensa di fare per realizzarlo, questo obiettivo. Solo parole, parole, parole. Fiumi di parole, come cantavano i Jalisse negli anni Novanta.
E il mercato, per come è stato condotto finora, è una chiara dimostrazione di quanto all’Inter regni il caos. Gli obiettivi sembrano sbandierati ai quattro venti più per fare colpo sui tifosi che per vero interesse, salvo poi venire sostituiti da altri nomi quando le prime scelte (Dybala e Touré, tanto per cominciare) finiscono alle concorrenti. E la vicenda dell’ivoriano, che peraltro ci ha presi bellamente per i fondelli, reca con sé altri punti interrogativi. Perché si parlava di un’offerta da 50 milioni (cartellino più ingaggio) per il 32enne centrocampista del City? Allora i soldi ci sono? E se ci sono, perché non si possono investire invece per uno come Geoffrey Kondogbia, che ha dieci anni in meno rispetto a Touré e che ha le qualità giuste per diventare un pilastro dell’Inter anche per il futuro? E ancora, se i soldi ci sono, perché Thohir ha parlato – proprio qualche tempo fa – dell’ennesimo mercato autofinanziato?

La situazione sorprende non poco chi conosce Roberto Mancini. Lo jesino è un tecnico ambizioso, che mastica calcio e che sa come si costruisce una squadra partendo dalle fondamenta: al suo ritorno nel novembre 2014 ci si attendeva davvero la svolta. Ed anche Piero Ausilio, sebbene sia molto più giovane e meno sponsorizzato di tanti suoi colleghi, si è dimostrato in grado di condurre buone operazioni lavorando senza budget (come quella per Medel, preso subito dopo un Mondiale da urlo, o quella per Shaqiri, che forse non ha reso come nelle aspettative, ma che è stato comunque un grande colpo anche dal punto di vista mediatico). Da cosa dipende, allora, questo immobilismo? Perché i risultati si ottengono soltanto a chiacchiere? La situazione non è rosea, certo, ma se ne sono risolte di peggio con dirigenti competenti, un po’ di fortuna e, soprattutto, idee che tengano in piedi il progetto. Invece, come scritto pocanzi, all’Inter attuale sembra mancare proprio questo, il progetto, la base di tutto. Possibile che il presidente Thohir, che ha sempre parlato di linea verde riferendosi ai giovani, voglia privarsi di Mateo Kovacic per soli 23 milioni di euro quando il Marsiglia cederebbe il finora sconosciuto Giannelli Imbula per due milioni in più? Diciamocelo, il croato non è sempre stato all’altezza dei numeri 10 che si sono succeduti all’Inter. Eppure ha un talento straordinario e, a soli 21 anni, ha già lasciato intravedere qualità e giocate eccezionali; in più si è dimostrato in crescita costante, superando il “blocco” e segnando ben 8 gol in 44 partite (mica pochi, per un classe 1994). Con la giusta fiducia, Kovacic potrebbe continuare il proprio percorso di crescita in nerazzurro e magari, chissà, valere 35-40 milioni il prossimo anno. Se proprio lo si deve vendere.
E ancora, perché non si può concedere spazio ai vari Gnoukouri, Puscas e via dicendo, contando che nemmeno si giocheranno le coppe? Potrebbero forse fare peggio dei vari Podolski, Khrin, Campagnaro e compagnia?

Un’ultima considerazione sul mercato in entrata. Ad ora il giocatore più vicino a vestire la maglia dell’Inter è Ervin Zukanovic, reduce da un’ottima annata al Chievo. Il difensore bosniaco è un onesto giocatore, solido e nel pieno delle forze, essendo un classe 1987; nella stagione appena conclusa ha segnato due gol (uno molto bello, su calcio di punizione) ed ha dato un buon contributo alla salvezza dei gialloblu. Chissà, meglio non giudicare prima di conoscere. Il Milan prese Nocerino per 500mila euro e venne ripagato da 10 gol in stagione, la Juve fece lo stesso con Barzagli per 400mila euro e poi andò a vincere lo Scudetto: in entrambi i casi si parlava di giocatori svalutatissimi e nel calcio le sorprese non mancano. La sensazione, però, è che siano di tutt’altra caratura i giocatori di cui c’è bisogno. Ne ha bisogno l’Inter, per tornare a primeggiare, e ne hanno bisogno i tifosi, per tornare ad avere fiducia in un progetto che lascia ancora troppi punti interrogativi.

Alessandro Caltabiano

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