L’ex portiere dell’Inter Ivano Bordon ha voluto ricordare la sua carriera in nerazzurro partendo dalle prime parate con la Juventina Marghera, fino a tutte le tappe importanti nei 17 anni con la maglia nerazzurra
INTER BORDON INTERVISTA/ L’ex portiere dell’Inter Ivano Bordon, è stato intervistato da ‘Il Gazzettino’ sia per ricordare la sua carriera sia per avere un parere sul calcio di adesso. L’ex giocatore, tra l’altro è stato da poco autore di un libro ‘In presa alta’ (ed. Caosfera, 16 euro, in vendita online), opera a quattro mani con il giornalista Jacopo Dalla Palma, quindi i ricordi sono ancora freschi. Gli hanno infatti chiesto chi fu che lo scoprì giovanissimo e lui ha spiegato: “Fu Elio Borsetto, quando giocavo nella Juventina Marghera, prima mi aveva portato a giocare nella Miranese, fino a quando mi presero all’Inter. Avevo 15 anni, dentro c’era la passione, non pensavo di farne una professione. I primi furono anni difficili, lontano dalla famiglia, vivevo nel pensionato: non era facile”. Dopo tutta la trafila nelle giovanili esordì a 19 anni e pure in una partita importante, un derby contro il Milan purtroppo perso 3-0 e infatti ha detto: “Entrai già sull’1-0 perché si era fatto male Vieri. Presi gol da Rivera su rigore, poi un altro me lo fece Villa. Ma la sconfitta passò in secondo piano, rispetto all’enorme soddisfazione di aver debuttato in serie A“. Il momento comunque importante avvenne nel 1972 nella famosa sfida di Coppa Campioni contro il Borussia Mönchengladbach, passata alla storia come la partita della lattina e lui ha ricordato: “Eravamo già sotto 5-1, io sedevo in panchina. Invernizzi, che fu il mio scopritore, a un certo punto mi disse scaldati che entri, ma l’atmosfera era strana, perché Boninsegna era stato colpito in testa dalla lattina. L’Inter era già forte, ma di fronte avevamo in pratica la nazionale tedesca dell’epoca: presi gol su rigore, un altro me lo fece Netzer. Poi, grazie alla magia dell’avvocato Prisco, il match fu annullato e nel frattempo a Milano avevamo vinto 4-2″. Il ritorno venne giocato a Berlino, dove tra l’altro c’era più pubblico, quindi un vantaggio per i tedeschi più che uno svantaggio eppure la partita finì 0-0 e Bordon ha ricordato: “Finì 0-0. Parai di tutto, anche un rigore dopo un quarto d’ora. Da poco sono riuscito ad avere la partita in dvd e me la sono rivista: ci sono state almeno 12 uscite alte, pulite ed altre cinque-sei parate difficili. A distanza di anni mi emoziono ancora a rivederle”.
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Dopo quella partita le venne dato anche il soprannome di ‘pallottola‘ e lui ha confermato: “Me lo affibbiò Mazzola, ma me lo diceva già in allenamento. Da quella sera mi è rimasto incollato per tutta la carriera“. Nel 1983 lasciò l’Inter dopo 17 anni, 281 partite, 2 scudetti e 2 Coppe Italia, ma non fu un addio bello e lui ha spiegato: “L’Inter ce l’ho dentro, mi ha cresciuto come giocatore e come uomo. Non mi aspettavo, quando ero prossimo allo svincolo, di non essere riconfermato. Non venni trattato bene, mi faceva girare le scatole all’epoca che mi facessero passare da mercenario, invece la verità era un’altra. Non avevo procuratore, nei colloqui non furono chiari con me, bastava mi dicessero che avevano altri progetti. Anche perché…”. E dopo una pausa, incalzato dall’intervistatore ha proseguito dicendo: “A gennaio c’era una società che mi aveva chiesto all’Inter assieme ad Oriali: era la Juventus, ma i dirigenti nerazzurri dissero no e la tirarono in lungo per il rinnovo. Alla fine parlai con la Juve, ma nel frattempo avevo raggiunto un accordo con la Samp e non volli venire meno alla parola data. Ma potevo andare alla Juve, questo sì”. L’ex estremo difensore ha disputato oltre 500 partite in carriera e gli hanno domandato, qual’è stata la parata più importante e lui ha detto: “Il rigore col Borussia, ma la più bella fu in un derby, 0-0 a 5′ dalla fine: respinta sul rigore di Calloni, nuova deviazione sulla ribattuta di Aldo Maldera e palla in corner. Di ricordi belli per fortuna ne ho tanti”. Viceversa la vittoria più importante. fu nel campionato 1970-71 come ha dichiarato: “A Catania 1-0, quella del sorpasso al Milan che ci regalò lo scudetto nel 71. E poi il record di imbattibilità, che dura dal ’79-80: spero sempre che Handanovic lo batta, vuol dire che l’Inter va bene. Tra l’altro mi rivedo in lui: non fa scene, non sbraita, sempre tranquillo, mai una polemica“. Per la precisione 685 minuti senza subire gol con la maglia della ‘Beneamata‘. Gli hanno domandato, qual’è stato l’avversario più forte che ha incontrato e lui ha risposto: “Cruijff, senza dubbio. Ho avuto anche la fortuna di giocare contro Pelè, in un’amichevole a San Siro col Santos. Avevo 19 anni, venne a stringermi la mano dopo una parata. Una soddisfazione che mi tengo stretta”. L’ultima domanda è di attualità e riguarda il suo pensiero sul calcio moderno e lui ha dichiarato: “È completamente cambiato: velocità, allenamenti, regole, preparazione, ora è tutto più veloce, frenetico, fisico. E anche l’ambiente: c’è meno genuinità. Perché è il mondo ad essere cambiato“.