Chivu: “Sono motivato, sono contento di stare con i ragazzi che mi insegnano tanto”

Inter, il nuovo allenatore della Primavera Christian  Chivu ha spiegato in una lunga intervista alla tv ufficiale nerazzurra le sue emozioni per il nuovo incarico 

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MILAN, ITALY – JANUARY 21: FC Internazionale Milano former player Cristian Chivu looks on prior to the Serie A match between FC Internazionale and AS Roma at Stadio Giuseppe Meazza on January 21, 2018 in Milan, Italy. (Photo by Emilio Andreoli/Getty Images)

Il nuovo allenatore dell’Inter Primavera come è risaputo sarà Christian Chivu che è arrivato dall’Under 14. Oggi l’ex giocatore dell’Inter del ‘Triplete’ ha iniziato ufficialmente la sua nuova avventura e InterTv lo ha incontrato per fargli una lunga intervista. Gli hanno chiesto, che sensazioni ha provato dal passare dai giovanissimi alla Primavera e lui ha spiegato: “Le emozioni sono le stesse del primo giorno, ho iniziato questo percorso da zero. Dovevo capire se era una cosa che mi piaceva e ho capito che mi far star bene. Voglio trasmettere il mio amore a questi ragazzi, sono partito dal basso dall’U14, poi ho avuto la fortuna di lavorare con U17 e U18 e ora proseguo il mio cammino con la Primavera. Sono motivato, sono contento di stare con i ragazzi che mi insegnano tanto. Ho anche avuto la fortuna di avere colleghi che mi hanno aiutato e trasmesso qualcosa: Bonacina, Annoni e Zanchetta ad esempio; ma anche e soprattutto Armando Madonna, autore di un grande lavoro in questi anni e che tutti noi vogliamo ringraziare“. Il pensiero dominante del nuovo tecnico è basato sulla cultura del lavoro e gioco e ha spiegato: “Io parto sempre da zero, ogni anno bisogna farlo. Voglio portare qualcosa di nuovo, l’obiettivo è questo. Faccio finta di non conoscere alcuni giocatori anche se ci ho lavorato in questi anni. Bisogna responsabilizzarli, non sono più ragazzini, sono maggiorenni e hanno degli obiettivi da raggiungere. Abbiamo sempre cercato di trasmettere la cultura del lavoro qui all’Inter. A me piace insegnare calcio perché vengo da realtà che mi hanno permesso di crescere anche da adulto, a partire dall’Ajax. Cerco sempre di trasmettere qualcosa, ogni giorno devi avere un obiettivo, altrimenti diventa tutto una routine, che ti butta giù dal punto di vista motivazionale. Poi qualcosa deve scattare dentro, penso che ci stiamo riuscendo con i nostri ragazzi. La crescita è graduale, un 14enne non può comportarsi come un 18enne. C’è chi apprende prima e chi dopo, ma mi stupiscono tutti i giorni. L’aspetto mentale fa la differenza, dal lavoro quotidiano alla partita, deve essere sempre curato ai massimi livelli“. Gli hanno chiesto, che influenza ha avuto la scuola Ajax e naturalmente il calcio olandese nell’ambito della sua carriere e lui ha risposto: “Fare il calciatore e fare l’allenatore sono due mestieri diversi. Io vedo il calcio nella mia maniera, a me piace giocare, voglio che i miei ragazzi siano concentrati in campo. Poi per me il calcio è divertimento, se non lo tratti così non è più sport, ma un lavoro che ti pesa. Bisogna sempre saper mischiare le cose, con responsabilità. Questo è il problema, far capire ai ragazzi che tramite la cultura del lavoro ti puoi anche divertire. Non conta solo il campo, ma tutto quello che ti accade attorno. Ho avuto la fortuna di andare in Olanda a 18 anni, ma avevo già fatto due anni in Serie A romena. Giocavo già ad alti livelli, è stato più facile per me, ma ogni volta devi sempre fissarti nuovi obiettivi. A 21 anni ero capitano, per me è stato un orgoglio, così come lo è stata tutta la mia carriera“.

 

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Gli hanno chiesto quali sono stati i suoi modelli e lui ha detto: “Ho cercato sempre di imparare qualcosa da tutti, non sono mai stato un fenomeno, ho avuto sempre problemi ovunque ho giocato. La mia carriera l’ho costruita con la testa, adattando il mio gioco a quello che riuscivo a fare. Non sono nemmeno stato fortunato con tutto quello che mi è successo. Così ho appreso qualcosa da ogni allenatore che ho avuto. C’è chi gestisce di più, chi lavora di più in campo. Ho imparato da tutti, ma soprattutto dal mio papà, che ha allenato a livelli bassi. Lo vedevo tornare a casa e preparare gli schemi, lì ho visto la passione“.

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